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San Valentino di indugi ed inganni

La Rosy ha occhi piccoli come bottoni, mobilissimi.

Mi scruta, da dietro le lenti sottili degli occhiali dalla montatura leggera; ma per parlarmi mi guarda dritta in faccia, come solo una donna di ottant’anni può fare, senza alcun pudore.
Alla sua età ne ha viste tante, e vissute troppe.
“Io son rimasta vedova quattro anni fa, ma ancora non mi rassegno. Che la vita mi ha dato tanto, ma questo no. Proprio no.”

Mi parla in dialetto genovese, sicura che io la capisca, e non sbaglia.
Mio padre lo dice sempre che sa a chi rivolgersi in dialetto, ancora prima che aprano bocca; e la Rosy non smentisce la sua teoria.
“L’altro giorno guardavo due signori davanti a me, che si tenevano per mano, c’avranno avuto la mia età. E io pensavo ‘Signore, perché a me questa fortuna non l’hai data?’; ma non per invidia eh? Però così, ecco…”

La Rosy, ottant’anni, tre figli, tanti nipoti, una vecchiaia serena, una vita felice. A cui manca una mano nella sua, da quattro anni.
“Il vuoto ad ogni scalino” di Montale.
E quella mancanza non si colma, nemmeno con le piccole dita delle nipoti, né con le mani forti dei figli.
Guardo la Rosy, e penso a noi poveri scimuniti, rimbecilliti dai social, aggrappati alle nostre paure come scimmiette ad una liana; intenti, esattamente come un branco di scimmie, a grattarci il sedere e a levarci i pidocchi, come se non ci fosse un domani.

Viviamo immersi nella sicumera di chi ha davanti a sé tutta la vita, tutto il tempo del mondo.

E non ci fermiamo mai a riflettere, nemmeno per un istante, per non renderci conto che tutto è perduto.
Quell’occasione potrebbe essere l’ultima; quel treno ormai perso, potrebbe avere dietro di sé un ultimo vagone libero; le parole non dette, i gesti mancati, le decisioni rimandate… tutto poteva aspettare.
E all’improvviso, come quando il sangue torna a circolare in un arto intorpidito, ritorna tutto quello che poteva essere, e non è stato.
E tutto quello che abbiamo, è adesso.

E’ quella mano vuota che dovrebbe terrorizzarci, non il timore di riempirla, accollandosi il rischio di una nuova mancanza.

Quelle paure diventeranno così le fondamenta di una cattedrale, un tempio agli amori sbagliati, con stanze da popolare di indecisioni e aspettative mal riposte, e parole non dette, rimpianti, giorni perduti alla ricerca di quella perfezione cui solo una mano nella mano può rispondere.

Se c’è una lezione che la Rosy mi ha dato è che non c’è tempo più sprecato, di quello passato a crogiolarsi nell’indugio e nell’indecisione.

Facciamo allora che agghindo i miei mostri a festa, per renderli meno spaventevoli, pronti ad accogliere chi arriva, nascosti da un cappello a falde larghe o da un vestito di paillettes.

E tu, che hai paura di tutto, sparpaglia per terra come coriandoli i tuoi timori fondati, che siano fondanti però: un punto fermo da cui ripartire, su un terreno comune.
Quel bacio non dato, o un abbraccio mancato; quel messaggio rimasto nel limbo del “premi invio”, quel mazzo di mimose fra le sue braccia, che ancora oggi ti struggi per non averle detto quant’era bella, i forse, i chissà, i per sempre.

Se pensi alla Rosy son certa che tutto fa meno paura.

2 Comments

  1. wow, Sara <3

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